Fondazione Aldo Morelato

VILLA DIONISI

All’origine della genealogia dei Dionisi si colloca un crociato, Dionisio dei Dionisi, che al seguito di Federico Barbarossa partì alla conquista di Gerusalemme. L’omonimo nipote Dionisio fu il primo della stirpe a fregiarsi di titolo nobiliare, essendo stato nominato “eques auratus” nel 1245.

All’interno del portico della villa campeggiano le figure di due stature equestri, dipinte a fresco dal Marcola nel 1778 e raffiguranti Dionisius de Dionysiis (1250), eques auratus, e Joannes Dionysiis (1375). E quasi a voler rendere ancora più tangibile il legame stretto con gli antenati, il committente della villa, marchese Gabriele, farà dipingere sulle pareti della loggia superiore, l’intero Albero genealogico della famiglia, ad iniziare dal capostipite Dionisius (1180).

 

La storia della villa

La sede della Fondazione si colloca all’interno di Villa di Cà del lago di Cerea, appartenente alla famiglia Dionisi, che da Cerea mosse i primi passi, sette secoli fa, per assurgere al rango di marchesato.

Villa Dionisi è un’elegante dimora settecentesca, mirabile nelle sue linee, elegante nella struttura, testimonianza di una vita passata, pervenuta fino a noi attraverso il mutare del tempo e degli eventi. La scelta della nobile famiglia Dionisi di erigere a Cerea la villa di famiglia, fu suggerita dalla necessità di esercitare un diretto controllo sulle loro terre messe a coltura e nel contempo avere l’opportunità di accogliere i numerosi ospiti in una cornice agreste ed al contempo elegante. Ci pensò in particolare il marchese Gabriele (1719-1808), figura di spicco nella società illuminata della Verona del Settecento. Nel secolo della massima valorizzazione della coltivazione del riso si impegnò in questa direzione. Il marchese Gabriele che, oltre a condurre l’impresa agraria, fu anche la mente della ristrutturazione della villa che nasce utilizzando precedenti strutture. Fu il marchese ad indicare al decoratore Nicola Marcola i temi intesi ad esaltare le glorie del casato Dionisi. Di lì a pochi decenni, all’arrivo a Verona delle armate Francesi, le certezze del marchese si dissolsero e, ormai anziano, vedrà quel mondo crollare ai suoi occhi.

 

Il progetto architettonico

L’impianto tipologico ricalca lo schema tradizionale della villa veneta: ai lati del vasto salone centrale, con ingressi dalle due estremità, sono disposte, in simmetria, le varie stanze dai moduli larghi e luminosi. Un sontuoso scalone, con soffitto e decorazioni architettoniche dipinte da Giuseppe Montanari, conduce al piano superiore dove l’impianto, immutato, s’impernia attorno al salone centrale coperto da una bella volta affrescata dal Gru e dal Montanari. Nelle sale la spartizione delle pareti ricorre ai panneaux: leggeri e allungati riquadri verticali incorniciati da delicate profilature in stucco, in cui vengono armoniosamente inserite le porte, le finestre, I ritratti degli avi e dei “signori di casa”. In questa ricerca di grazia, di forme eleganti e leggere, si disvela l’adesione al gusto ‘privato’ del rococò. Nel ricercato contrasto tra la solidità dell’impianto formale, ribadita dal bugnato del portico e dallo spessore dei pilastri superiori, e la raffinatezza del disegno dell’ordine ionico e delle linee ondulate delle modanature del fastigio e delle volute di raccordo, l’opera trova una sua indiscutibile peculiarità. E’ tuttavia della dimensione verticale del fastigio e nell’intensificazione dell’arredo decorativo, sia pittorico (i riquadri affrescati dal Marcola) sia plastico (le quattro statue di figure femminili sul coronamento, scolpite da Lorenzo Muttoni) che la semanticità del discorso si carica sin quasi a divenire compiaciuta esibizione del rango sociale.

 

Gli interni e gli affreschi

Villa Dionisi costituisce una delle più interessanti testimonianze artistiche del Settecento veronese. Raccoglie infatti, oltre a quadrature di un pittore e architetto interessante come Giuseppe Montanari, affreschi e quadri dei Marcola, presenti nella villa fin dal 1743 con il capostipite Giovan Battista (1704 – 1776). L’attività di tutti gli artisti che ivi operarono risulta ampiamente documentata dalle memorie del marchese Gabriele Dionisi, che permettono di rilevare la presenza anche di Taddeo Taddei e Giuseppe Gru. La villa iniziata nel 1741, era già terminata – ad eccezione della loggia – nel giugno del 1742 e già in quello stesso anno viene eseguito l’affresco sul soffitto del salone con l’Incoronazione di un personaggio della famiglia Dionisi. All’intorno, entro ovali, i ritratti degli appartenenti alla famiglia. Nel luglio del 1742 viene commissionata al Montanari la decorazione del soffitto dello scalone: qui, entro una elaborata e pesante cornice sono racchiuse in blocco compatto tre figure, l’Astronomia, la Musica e l’Agricoltura, circondate da putti.
L’alcova, progettata sembra per i brevi soggiorni del fratello diacono Giovanni Jacopo, si rivela un autentico gioiello architettonico dell’interno: la finezza del disegno e della decorazione a stucco, l’uso accorto delle linee dolcemente curve dell’arco e delle paraste che delimitano l’area del letto, il luminoso cromatismo delle pareti dove il bianco si associa a colori tenui, le figure dei santi entro tondi e le graziose testine sui capitelli, tutto è perfettamente studiato sì da creare un mirabile effetto unitario.
La biblioteca, un tempo sala di lettura, studio e archivio della famiglia Dionisi raccoglie oggi una collezione di libri sul mobile.
Il piano nobile della villa è sede della Fondazione Aldo Morelato. Il fulcro dell’attività della Fondazione è costituito dell’Osservatorio sull’Arte Applicata nel Mobile, che svolge attività di ricerca e di promozione. La Fondazione Aldo Morelato, con il suo Osservatorio, si propone dunque di diventare un’importante risorsa per lo sviluppo di un’area di produzione del mobile d’arte o che ad esso fa riferimento, uno dei poli più importanti per la lavorazione del mobile in Italia, un distretto fondamentale per l’economia della pianura veronese.
 

La chiesa e il parco

Seguendo una tradizione ormai consolidata nel ‘700 che voleva, almeno nelle maggiori residenze di campagna, la presenza di una cappella o “chiesuola”, luogo di culto per la piccola comunità che ruotava attorno alla villa, la prima opera avviata da Gabriele nel 1741 sarà proprio l’oratorio. Il tempietto, a schema ottagonale e decorato all’interno da preziosi stucchi, si deve alla mano del bolognese Giuseppe Montanari, pittore-architetto, allievo di Ferdinando Bibiena. Ha facciata con pronao ritmato da quattro colonne ioniche dalle linee enfaticamente neoclassiche. All’interno sul barocco altare di stucco disegnato dal marchese nel 1743 (ma forse su precedenti schizzi del Montanari), è collocata una pala di Giovan Battista Marcola, mentre altre pitture in chiaroscuro, opere di Taddeo Taddei, adornano le pareti.

Un posto di rilievo era occupato dal giardino. Luogo di “delizie”, ma svolgente anche funzione rappresentativa, esso era considerato come un naturale prolungamento della facciata del palazzo. Oggi, dopo gli ampi rimaneggiamenti e la trasformazione ottocentesca in parco, nulla rimane di quello schema ormai tradizionale del “giardino all’italiana”.
A rimarcare, invece, la stretta integrazione tra residenza e agricoltura v’è l’importante fattura, nel maggio del 1748, del “selese da riso” e delle adiacenti “barchesse da secarlo” erette non solo per necessità ma anche per nobilitare il cortile.
Adiacente al parco è la sala ristorante sorta dalla ristrutturazione della preesistente limonaia, immersa nel silenzio della campagna, nel verde del parco, ma al tempo stesso unita alla storica villa. I saloni affrescati, gli spazi nel parco, la sala ristorante, offrono la possibilità di organizzare feste, banchetti e meeting aziendali.